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almaviva_changeAlmaviva Contact SpA (di seguito Almaviva) è una delle più grandi aziende di call center in outsourcing in Italia con più sedi nel territorio nazionale (Roma, Napoli, Palermo, Catania, Rende, Milano) e internazionale.

La società Almaviva nasce nel 1998 (allora Cos Spa) sull’onda della nascita e dello sviluppo delle cosiddette società in outsourcing, ovvero aziende che forniscono principalmente servizi di Customer Care per i grandi gestori telefonici (Telecom, Wind, Vodafone, ecc.). Queste società nacquero con il preciso scopo di abbassare il costo del lavoro di un’attività, quella dell’operatore telefonico addetto all’assistenza clienti, che sino a qualche tempo prima, veniva effettuata in house. Di fatto nelle società in outsourcing vengono applicati contratti precari o comunque, quando il contratto è a tempo indeterminato, quest’ultimo è part-time e con livelli professionali più bassi.

Dal 2000 comincia la grandiosa marcia della famiglia Tripi grazie alla Leggi 407/90 e 388/2000, che assegnano un credito di imposta alle aziende da utilizzarsi per le assunzioni nelle Regioni svantaggiate, e che permette di abbassare in modo consistente il costo del lavoro. Nel giro di pochi anni, Almaviva (allora COS.med) apre nuove sedi a Napoli, Palermo e Catania. In queste sedi vengono prevalentemente utilizzati lavoratori con contratti precari (cd. Co.Co.Co.). Almaviva nasce e si afferma nel mercato degli outsourcing grazie ai soldi pubblici!

Nel 2004 Il gruppo Almaviva acquisisce dal Gruppo Telecom l’azienda Atesia SpA di Roma, nota alle cronache per l’utilizzo esclusivo di contratti precari.

Si arriva al 2007, nel corso del quale Almaviva si vede costretta, dopo anni di lotta dei lavoratori, a stabilizzare circa 4000 lavoratori precari, soprattutto a seguito del Verbale Ispettivo (n. 6.15.vig/103-153 del 21/08/2006) che dichiarava illegittimi i contratti a progetto applicati in Atesia e in generale nei call center. La famiglia Tripi riesce comunque ad uscirne senza troppi danni, grazie all’intervento dell’allora Governo Prodi (con un art. di legge ad hoc nella Finanziaria 2006) e dei Sindacati Confederali (con un avviso comune), che mitigano la sentenza degli ispettori e fanno sì che l’azienda non debba pagare il pregresso per i rapporti di lavoro irregolari in cambio di assunzioni con contratto part-time: con la firma di una liberatoria migliaia di lavoratori (circa 2000 solo a Roma) rinunciarono al pregresso spettante (circa 40.000 euro) per ottenere in cambio un contratto a tempo indeterminato part-time a 20 ore settimanali, con una retribuzione di circa 8000 euro l’anno. Anche in questa occasione Almaviva riesce ad intascare soldi pubblici in quanto, per le regolarizzazioni, potrà usufruire degli incentivi previsti dalla legge 407/90.

Precarietà, soldi pubblici, ammortizzatori sociali e investimenti all’estero

In Italia Almaviva Contact utilizzava illegittimamente lavoro precario, otteneva sanatorie tombali dall’allora Governo Prodi, faceva “bottino” di incentivi pubblici e scaricava sulla collettività il rischio d’impresa con l’utilizzo continuo di ammortizzatori sociali, aumentando nel corso di più di un decennio i suoi profitti in maniera vertiginosa, cosa che le avrebbe permesso, attraverso corposi investimenti, di iniziare la sua espansione all’estero.

Nel 2002 Almaviva si insedierà in Tunisia con la società offshore COS Tunisie, attestandosi come una delle prime aziende di call center in outsourcing italiane a delocalizzare l’attività lavorativa all’estero: tra il 2008 e il 2009 vennero assunti lavoratori tunisini che rispondevano in lingua italiana per il servizio TIM 119 (la vicenda fu raccontata in un servizio andato in onda nel programma “Anno Zero” su Rai Tre nel 2010); la paga oraria era di meno di 3 euro l’ora. AlmavivA Tunisie, nel corso degli anni, ha esteso la sua presenza nel Maghreb, nell’Africa francofona e nel Medio Oriente.

Nel 2007 il re dei call center, Alberto Tripi, sbarca sul mercato cinese, firmando un accordo con la cinese CCID, che ha portato alla costituzione della società LIT, prima joint venture sino-italiana del mercato CRM, il tutto grazie ad un investimento congiunto di 10 milioni di euro.

Nel 2006 il Gruppo Almaviva apre AlmavivA do Brasil una società di call center: in meno di tre anni entra tra i primi 10 operatori di CRM del mercato brasiliano con circa 13.000 dipendenti. La controllata brasiliana ha chiuso il 2014 con ricavi pari a 200 milioni di euro e una crescita del 50% sull’anno precedente con una marginalità del +82% rispetto al 2013. Nel 2014 allarga la sua presenza in Sud America con la nascita di Almaviva de Colombia con sede a Bogotá.

Almaviva Contact continua ad ingrandirsi utilizzando soldi pubblici

Tra il 2010 e il 2012 vengono “stabilizzati” i lavoratori con contratto di somministrazione in Sicilia e Campania. Tra Napoli e Catania vengono assunti a tempo indeterminato circa 1000 lavoratori con un inquadramento professionale inferiore a quello normalmente assegnato agli operatori delle altre sedi. In questo caso Almaviva, oltre ad usufruire degli incentivi previsti dalla L 407/2000, incasserà gli incentivi del piano straordinario “Campania Lavoro”, che prevede finanziamenti a fondo perduto per circa 6000 milioni di euro per le aziende che assumono.

Mentre Almaviva procede con le assunzioni al Sud, e a circa un anno dalla fine degli incentivi previsti per la stabilizzazione dei lavoratori romani, in data 30 marzo 2011 Almaviva avvia le procedure di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) per circa 360 lavoratori dell’unità produttiva di Roma. In quella occasione si trasferisce una importante commessa, il servizio assistenza di Alitalia, presso la sede di Palermo e si utilizzano fondi regionali per la Formazione dei cassintegrati. Nel mentre si continuano a richiedere straordinari ai lavoratori non interessati al provvedimento di CIGO.

A circa 6 mesi dal reintegro dei lavoratori posti in CIGO, il 24 gennaio 2012 Almaviva dichiara nuovamente degli esuberi nella sede di Roma e dà l’avvio alle procedure di Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS) per 430 lavoratori. Mentre si dichiarano esuberi per la sede di Roma, Almaviva apre una nuova sede in Calabria, a Rende (CS), dove vengono assunti con contratti precari centinaia di lavoratori.

Il 6 febbraio 2012 tramite accordo sindacale, la CIGS si trasforma in Contratti di Solidarietà (di seguito CdS) per tutti i 2174 lavoratori di Roma con una durata di 12 mesi; la riduzione dell’orario di lavoro oscillerà in base ai vari servizi sino ad un massimo del 50%. Durante i CdS vengono svolte centinaia di ore di lavoro straordinario sulla commessa TIM 119, malgrado la sospensione di centinaia di lavoratori con le stesse mansioni sulle altre commesse.

Mentre i presunti esuberi di Roma vengono gestiti attraverso i CdS, l’azienda continua ad assumere presso la neo-sede di Rende (CS). Anche in questa occasione Almaviva potrà usufruire dei vari incentivi pubblici, nonché dei finanziamenti a fondo perduto previsti dalla Regione Calabria attraverso i FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale).

Nel 2012 Almaviva apre le procedure per accedere all’ennesimo ammortizzatore sociale per la sede di Roma di via Lamaro, questa volta una Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS) a zero ore con la causale “cessazione di attività”, causale che i fatti dimostreranno essere quantomeno “inappropriata”: le commesse che sino al 27 settembre 2012, data della decorrenza della CIGS, erano gestite dai lavoratori della sede di Roma, verranno semplicemente spostate al Sud: a Napoli, Catania, Palermo, Rende (CS). Questa operazione viene fatta esclusivamente per abbassare il costo del lavoro, in quanto Almaviva in quei territori usufruisce ancora degli incentivi previsti dalla legge 407/90 e dei fondi regionali per l’occupazione previsti nelle regioni del Mezzogiorno. A conferma di ciò Almaviva, in data 18 giugno 2012, sottoscrive con i Sindacati Confederali un piano di 250 assunzioni entro l’anno e investimenti per lo sviluppo economico e occupazionale della sede calabrese di Rende (CS). Queste “manovre” sono state possibili in quanto Almaviva, come tutte le società di call center , ha la possibilità di spostare il lavoro (i volumi di chiamate) da una sede all’altra con estrema facilità.

Il tentativo era palesemente quello di espellere dal ciclo produttivo un intero bacino di lavoratori, per poi procedere al “naturale” licenziamento degli stessi, utilizzando la normativa prevista per i licenziamenti collettivi. La strenua lotta di quei lavoratori impattati da una CIGS ingiusta e organizzati nei COBAS, con mobilitazioni, esposti al Ministero del Lavoro, all’INPS, ecc., che dimostravano con una puntuale documentazione l’illegittimità della CIGS, ha costretto Almaviva a ritornare sui suoi passi. Il 30 aprile 2013 viene firmato un accordo per l’apertura di CdS a livello nazionale con il reintegro di tutti i lavoratori di Roma in CIGS. Non è un caso che l’approvazione della CIGS sia stata firmata dal Ministero del Lavoro con sette mesi di “ritardo” e due giorni dopo la sottoscrizione dei nuovi Contratti di Solidarietà che prevedevano il reintegro di tutti i 470 cassintegrati di Roma.

Gli stessi CdS sono stati prorogati e avranno temine il 31/05/2016.

La situazione attuale

Negli ultimi mesi, la proprietà, con i CdS ancora in vigore, ha dichiarato oltre 3000 esuberi su tutto il territorio nazionale, in special modo nelle sedi di Roma e Palermo. La situazione aziendale, dovuta agli esuberi generati dalla perdita di alcune commesse, potrebbe dar vita nei prossimi mesi, con un riferimento particolare ai circa 800 esuberi quantificati nella sola sede di Roma, ad un grave problema occupazionale nel nostro territorio e non solo, con drammatiche conseguenze a livello sociale.

Alcune manovre aziendali, come la recente variazione dell’inquadramento INPS (da Industria a Terziario), che comporterà un minore costo contributivo per ogni singolo licenziamento, e il non riequilibrio su tutte le sedi dei volumi di traffico delle commesse (in alcune sedi operative si svolge addirittura lavoro straordinario), concentrando maggiormente gli esuberi sulle sedi con gli operatori più anziani e quindi più costosi, nonché l’attuale quadro normativo che prevede forti sgravi contributivi per le nuove assunzioni (Jobs Act), lascia intendere che l’azienda voglia e possa procedere con un’operazione di sfoltimento e svecchiamento della attuale forza lavoro, oramai troppo costosa.


La perdita di alcuni appalti potrebbe essere quella “palla al balzo” da cogliere per avviare
licenziamenti collettivi di massa, quindi partecipare successivamente alle gare di appalto con offerte più basse per poi, una volta passati i sei mesi di impedimento previsti dalla normativa, procedere con nuove assunzioni a commessa acquisita, ovviamente applicando il Jobs Act.

I nostri obiettivi a breve termine

La lotta dei lavoratori Almaviva organizzati nei COBAS intende perseguire questi obiettivi di breve termine:

  • il blocco di qualsiasi progetto di riduzione di posti di lavoro in Almaviva Contact;

  • NESSUN LICENZIAMENTO A LIVELLO NAZIONALE e rigetto di qualsiasi ipotesi di riduzione dei numeri dei licenziati inizialmente dichiarati e riduzione di salario e diritti per i restanti;

  • eventuale utilizzo di un ammortizzatore sociale conservativo, con equa rotazione su tutte le sedi, come quello specifico per i call center previsto dal D.Lgs. 148/2015 art. 44 c.7;

  • il rispetto del già misero CCNL e quindi il rifiuto di qualsiasi deroga in pejus dello stesso attraverso accordi aziendali integrativi alla concessione dell’ammortizzatore sociale.

Non possiamo esimerci dall’affermare che questi obiettivi immediati saranno solo una mera “boccata di ossigeno” per i lavoratori Almaviva.

Prospettiva

Al di là del “fumo negli occhi” delle “clausole sociali” (inapplicabili, raggirabili, inutili, se non deleterie, senza l’applicazione di un vincolo territoriale, che comunque, non potrà mai essere imposto in quanto in contrasto con la legislazione italiana ed europea) e delle inverosimili soluzioni dei Sindacati Confederali per impedire le gare al “massimo ribasso” (anche se si concretizzassero la concorrenza si sposterebbe sul piano della flessibilità e della produttività, con ricadute pesanti sulla salute psico-fisica del lavoratore), solo un processo di internalizzazione dei lavoratori dei call center nelle aziende committenti potrà dare stabilità e salari dignitosi a migliaia di persone. La richiesta di internalizzazione dei lavoratori dei call center viene anche da una pretesa di giustizia da parte di migliaia persone: operatori telefonici, che quotidianamente, rispondendo ai clienti/utenti per conto di grandi aziende (telefoniche, energetiche, assicurative, ecc.), nonché per enti pubblici (INPS, Enti Locali) o soggetti privati riconducibili ad essi (ACEA, Sogei, Equitalia, ENI, Enel, ecc.), contribuiscono agli elevati profitti di queste ultime. Lavoratori che, svolgendo le stesse mansioni dei loro colleghi in house e utilizzando i loro stessi software, sottoposti alle loro stesse direttive organizzativo-operative, ricevono in cambio salari ignobili, sotto-inquadramento, precarietà e condizioni di lavoro deleterie per la loro salute psico-fisica.

La storia dimostra che negli ultimi 15 anni il comparto dei call center in outsourcing si è sorretto esclusivamente con una iniezione spropositata di soldi pubblici, sia attraverso gli incentivi statali, sia mediante l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, soldi pubblici che hanno ingrossato “le tasche” delle aziende committenti e degli outsourcer. Questo decennale sperpero di soldi pubblici non ha però creato né stabilità occupazionale, né salari dignitosi, né condizioni di lavoro sostenibili (lo stress che subiscono i lavoratori per seguire le continue richieste di maggiore produttività da parte delle aziende è oramai al limite della umana sopportazione): un intero comparto da sempre caratterizzato da precarietà, bassi salari e da un alto rischio da stress lavoro-correlato: 80 mila persone da sempre sottoposte al continuo ricatto dell’appalto in scadenza.

Se si vorrà realmente salvaguardare l’occupazione, il salario e la salute di migliaia di persone, non si potrà che sostenere la lotta di chi si pone questo obiettivo; questo obiettivo si potrà raggiungere, da un punto di vista normativo, modificando l’art. 29 del D.lgs. n. 276 del 2003, inserendo una disciplina più restrittiva che possa impedire la concessione in appalto dei servizi di Customer Care; inoltre, se si dovranno utilizzare ulteriori soldi pubblici per salvare davvero migliaia di posti di lavoro, gli stessi non dovranno che essere indirizzati verso i committenti, per incentivare processi di internalizzazione dei servizi e dei lavoratori e chiudere definitivamente il capitolo dello outsourcing.

Per conquistare una reale stabilità e salari dignitosi, la nostra lotta come lavoratori non potrà che avere l’internalizzazione come obiettivo da raggiungere.

COBAS Almaviva Contact

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